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Guido Dorso nasce ad Avellino il 30 maggio 1892. Laureatosi in Giurisprudenza all’Università di Napoli, esercita l’avvocatura ed inizia la sua collaborazione a giornali locali. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale lo trova interventista, con la speranza che il conflitto possa portare rivoluzionarie conseguenze per il Paese e per il Mezzogiorno. Inizia in questo periodo la grande speranza di Dorso per il risveglio del Sud che lo accompagnerà come fede salda e profonda per tutto l’arco della sua esistenza. Ritornato dalla guerra, Dorso riprende la sua attività professionale e ad Avellino fonda nel 1923 il “Corriere dell’Irpinia”. Gli articoli di Dorso in aspra polemica col Fascismo vengono molto apprezzati da Piero Gobetti, che nel giugno del ’23 lo invita a collaborare a “Rivoluzione liberale”. Gran parte di questi scritti sono raccolti da Dorso nel volume “Rivoluzione meridionale” che vede la luce nel luglio del ’25. L’opera ha poche e brevi recensioni sulla stampa di sinistra, tra cui una di Carlo Rosselli, ma moltissime sono le lettere di compiacimento che giungono a Dorso da ogni parte d’Italia. Da ricordare il vivo apprezzamento espresso da Giustino Fortunato – il rappresentante più autorevole della generazione conservatrice – nei confronti di Dorso come pensatore e come scrittore. Notevoli sono anche le recensioni di Luigi Sturzo e di Antonio Gramsci, che mostrarono d’intendere il valore dell’opera.

Dal ’25 al ’38 accanto all’attività professionale Dorso continua a studiare, nonostante le sue precarie condizioni fisiche ed una profonda depressione derivata da una grande sfiducia nel trovare il Paese impotente a ricercare un dialogo democratico che possa assicurare la formazione di una nuova, moderna classe dirigente. Aderisce al Partito d’Azione con tutti i suoi dubbi e le sue riserve per la questione meridionale. Liberata Roma, nel dicembre del 1944 a Bari, fiducioso in una ripresa delle esigenze meridionalistiche, tenne in un convegno sul Sud una importante relazione dal titolo “Le Classi dirigenti del Mezzogiorno”. Dorso dirige nel ’45 a Napoli “L’Azione” per circa un anno, pubblicando alcuni tra i suoi più significativi articoli che più tardi vengono da lui stesso raccolti col titolo “L’occasione storica”. Dimessosi fin dal dicembre del ’45 dal Partito d’Azione, rifiuta alcuni incarichi e capeggia una formazione politica composta da amici pugliesi che non ha successo. Dopo la battaglia per le elezioni del 2 giugno, che fu l’ultima lotta politica, Dorso si propone di riprendere i suoi studi di critica e di teoria politica, ma purtroppo un nuovo aggravarsi delle sue condizioni fisiche glielo impedisce. La morte lo coglie il 5 gennaio del ’47 nella sua Avellino.

"È finito il tempo dell’apostolato individuale”

Occorre un élite anche poco numerosa, ma che abbia idee chiare e sia spietata nella sua funzione critica. È finito il tempo dell’apostolato individuale, e i Fortunato, i Salvemini, i De Marco possono tenersi paghi del primo lavoro di aratura, compiuto tra la indifferenza universale, in epoche così tristi che il cuore si riempie di sgomento. Se il Mezzogiorno, in un supremo sforzo creativo, organizzerà questa minuscola élite senza paura e senza pietà, la lotta potrà essere lunga, ma l’esito non sarà dubbio, poiché tutta la storia italiana non è altro che il capolavoro di piccoli nuclei che hanno sempre pensato ed agito per le folli assenti. Ma se la gioventù meridionale – questa mirabile gioventù così assetata di giustizia e di verità – non sentirà il pungolo della resurrezione e riprenderà triste e scorata, la dolorosa via dei piccoli impieghi e della dedizione allo Stato violento e accentratore, allora anche i pochi semi che sono nati per caso sull’arido terreno del Mezzogiorno saranno sommersi, e nuovi sistemi di compressione e di sfruttamento risorgeranno dalle ceneri ove ora sembrano sepolti.