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Scienza e Fede. Ritrovare in noi stessi le ragioni dell’esistenza

Scienza e Fede. Ritrovare in noi stessi le ragioni dell’esistenza

Con uno scritto del prof. Giulio Tarro apriamo una tribuna dedicata ai componenti del Comitato tecnico – scientifico dell’Associazione Dorso, riguardante tematiche di particolare attualità e interesse.

“La religione senza scienza sarebbe imperfetta” ammoniva un grande scienziato, Albert Einstein. È vero anche il contrario. Una scienza che si ponesse come fine quello di una assoluta conoscenza, illudendosi di sostituirsi alla religione sarebbe quanto di più arido si possa immaginare. Per questo ritengo che scienza e fede debbano procedere su strade certamente separate ma non certo divergenti, verso il fine ultimo che non può che essere porsi al servizio dell’umanità. E queste considerazioni sono ancora più pregnanti quando focalizzando il termine “Scienza” si arriva alla Medicina. Un rapporto questo tra Medicina e Fede plurimillenario considerando che le antiche civiltà avevano un rapporto sacrale con la malattia e la medicina e molto spesso l’attività del sacerdote si identificava con quella del medico. È stato fatto notare che Religione e Scienza non solo “possono” ma “devono” lavorare insieme, soprattutto nei campi fondamentali della pace, dei diritti umani e civili, dello sviluppo dell’umanità. Si pensi all’impegno profuso dalle varie chiese del mondo in settori come il volontariato, l’assistenzialismo, il pacifismo… Oggi i problemi che affliggono l’umanità sono così grandi e complessi che occorre il contributo di tutti, mettendo da parte ciò che divide Ovviamente tale collaborazione non può sussistere sul terreno più propriamente filosofico, epistemologico, ontologico. Ci potrà essere un confronto, uno scambio di opinioni, ma né la scienza né la religione possono pretendere di porre delle condizioni per accettare un’intesa in tale campo. La scienza non può credere, neppure in via ipotetica, nell’esistenza di dio, così come la religione non può essere costretta a rinunciare ad alcuno dei propri dogmi. Il fatto che -come vuole la religione- scienza e fede non possono che andare d’accordo poiché provengono entrambe da dio e sono soltanto gli uomini che le mettono in contrasto tra loro, non ha alcun significato per la scienza. Il contrasto tra fede e scienza non è solo nei mezzi e nei metodi che si usano ma anche nei fini che si perseguono, seppure relativamente agli obiettivi più generali esse possano anche convergere su qualche aspetto. Inoltre va detto che Religione e Scienza sono alternative perché alle domande fondamentali della vita danno risposte completamente diverse. Il che, se vogliamo, non agevola certo la collaborazione pratica sui terreni cosiddetti “comuni”.

Certo, il fatto che la scienza si basi sulla ragione e la religione sulla fede o il fatto che la scienza affermi che l’universo s’è creato da solo, mentre per la religione, senza “la volontà di dio”, nessuna foglia si muoverebbe – possono essere considerati delle mere “opinioni”, dei “punti di vista” d’importanza equivalente, ma l’esperienza dimostra che, appena questi “punti di vista” vengono accettati, essi sono in grado di modificare tutto il corso dell’esistenza umana. Non a caso la religione, specie quella cattolica, è sì disposta ad ammettere “l’autonomia delle realtà terrene”, in quanto esse non dipendono più direttamente dalla chiesa, ma non è disposta a riconoscere in modo assoluto tale autonomia; in ultima istanza, infatti, la chiesa si riserva, attraverso il giudizio etico-religioso, d’influenzare quelle realtà (specie quando esse manifestano segni di crisi), allo scopo d’indurle ad accettare le posizioni religiose. La concezione del rapporto fra teologia e scienza è mutata profondamente negli ultimi secoli: alla teologia – “Regina scientiarum” nell’enciclopedia del sapere medioevale – la ragione moderna ha preteso di sostituire se stessa quale unica protagonista e vertice assoluto della conoscenza. Ecco perché nell’epoca iniziata dall’Illuminismo il rapporto fra teologia e scienza è stato concepito spesso esclusivamente come un conflitto. Un conflitto cominciato quando la scienza sembrò minacciare il confortevole posto occupato dall’Uomo all’intero di un cosmo creato secondo un disegno divino. Ma la rivoluzione iniziata da Copernico e terminata da Darwin ha avuto l’effetto di emarginare, persino di svilire, gli esseri umani non più posti al centro del disegno supremo, ma relegati a un ruolo secondario e senza apparente significato in un indifferente dramma cosmico, come comparse improvvisate finite per caso nel mezzo di un grande set cinematografico. Questo ethos esistenzialista secondo cui non c’è alcun senso nella vita umana al di là di quello che gli esseri umani stessi le conferiscono è diventato il leitmotiv di buona parte della Scienza. E per questa ragione che la gente comune, in molti casi, fa finito per considerare la Scienza come qualcosa di minaccioso e degradante responsabile dell’estraniazione dall’universo in cui vivono.
Vi è, comunque, un’altra possibile lettura della Scienza.

Lungi dal presentare gli esseri umani come prodotti accidentali di cieche forze fisiche, la scienza può suggerire che l’esistenza degli organismi coscienti è un aspetto fondamentale dell’universo e che l’universo stesso, attraverso innumerevoli processi durati miliardi di anni, abbia trovato la sua ultima tappa di sviluppo nell’essere umano, nel suo cervello, nella sua psiche. Questa lettura del creato, fatta propria da scienziati come Fred Hoyle o da mistici come Aurobindo, è stata per molto tempo considerata, al più, una poetica intuizione, non certo una teoria scientifica finché l’irrompere sulla scena della fisica quantistica ha prefigurato una sbalorditiva sintesi tra misticismo e razionalismo, tra psiche e materia e, in ultima analisi, tra miracoli e Medicina. Nel 1935 Niels Bohr, uno dei massimi esponenti della fisica quantistica, rispondendo ad alcune obiezioni che gli venivano poste, tra gli altri, da Albert Einstein, Boris PodoIsky e, Nathan Rosen, formulò una affermazione che aprì inesplorati percorsi alla Scienza: Anche se due fotoni correlati si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere un’unica entità e l’azione compiuta su uno di essi avrebbe effetti anche sull’altro.
Per decenni questa affermazione rimase indimostrata finché nel 1982 comparve sulla scena un fisico dell’Università di Parigi, Alain Aspect, che con una serie di esperimenti dimostrò, che i fisici quantistici avevano ragione. Gli esperimenti condotti a Parigi da Aspect prevedevano che una coppia di fotoni correlati (nati dalla disintegrazione di un atomo di calcio) venissero separati e lanciati verso rivelatori lontani, i quali a loro volta dovevano misurare il comportamento dei fotoni dopo che lungo la traiettoria di uno di essi veniva casualmente inserito un «filtro» che ne modificava la direzione. Il risultato dei test dimostrò che, quando uno dei due fotoni deviava in seguito all’interazione col filtro, istantaneamente deviava anche l’altro, benché si trovasse spazialmente separato (per l’esattezza lontano tredici metri: una distanza enorme per particelle di dimensioni subnucleari). Il fatto straordinario non si rivelò tanto la conferma del non localismo, e quindi dell’esistenza di azioni a distanza, quanto l’evidenza che queste azioni avvenivano contem-poraneamente, quasi ci fosse tra le particelle correlate una trasmissione di informazioni istantanea. Questa sbalorditiva capacità di particelle, pur infinitamente distanti, di correlarsi in quanto generate nello stesso momento o altre scoperte della fisica quantistica, come la capacità dell’osservatore di influenzare un esperimento scientifico con il suo semplice osservare l’esperimento stesso, hanno scompaginato secoli di scienza e apre rivoluzionarie prospettive filosofiche che potrebbero ricucire quella dicotomia tra Scienza e Religione sulla quale si basa da qualche secolo la civiltà occidentale.
Per quanto riguarda la Medicina, come è noto, da decenni si vanno affermando in Occidente teorie e scuole che leggono l’organismo umano non già come il mero “prodotto” del funzionamento di vari organi o come il risultato di una meccanica interrelazione tra corpo e ambiente esterno ma come una entità, quasi sovrafisica, fondamentalmente regolata da elementi difficili da definire per la Scienza quale la psiche del soggetto o i sentimenti degli esseri che lo circondano.

Personalmente, fino a qualche anno fa ritenevo del tutto risibili queste considerazioni che consideravo retaggio di superstizioni. Eppure, come medico, al pari di tanti altri miei colleghi sapevo benissimo che, in molti casi, la guarigione dipende dalla capacità del medico di infondere nel paziente quel sentimento che i laici definiscono “fiducia” e i religiosi definiscono “fede”; due termini (non a caso aventi la stessa etimologia) che rimandano ad una adesione incondizionata, non giustificabile per intero dalla ragione.
Può certamente sembrare strano che uno scienziato (mi si perdoni questo termine che nella lingua italiana acquista connotazioni auliche ma che nel linguaggio internazionale viene utilizzato semplicemente per indicare un ricercatore, uno studioso della Scienza) accantoni momentaneamente pluridecennali metodologie di indagine per basare una sua affermazione su un qualcosa che, per definizione, non può essere “dimostrato”. Eppure l’esistenza di qualcosa in grado di operare al di là delle leggi oggi conosciute e di guarire attraverso processi che non si possono non definire che miracoli mi è apparsa in tutta la sua evidenza visitando la cella di padre Pio e lasciandomi permeare da quell’atmosfera di devozione e di preghiera che lì aleggiava; è stata una esperienza bellissima che mi ha dischiuso ad una visione del mondo, in ultima analisi ad una nuova conoscenza. Il definirsi di una nuova realtà, dove ogni tassello, fino a quel momento vagamente intravisto attraverso un velo di scetticismo, finisce per comporre un mosaico di incomparabile bellezza mi ha spinto a fermarmi a Pietralcina, dove padre Pio è nato. E lì anche le stimmate di Padre Pio mi sono apparse qualcosa di completamente diverso dal, ben studiato in Medicina, fenomeno angiovascolare capace di provocare vistose ecchimosi e piaghe. Mi si sono rivelate come la testimonianza di un uomo di fede, di un frate contadino, semplice e schietto che ci spinge a superare le convenzioni e le imposizioni dettate dalla nostra cultura per ritrovare in noi stessi le vere ragioni della nostra esistenza. Un percorso di conoscenza che va al di là dei freddi sentieri della logica ma che si affida a quanto di più intimo di vero è nell’animo umano. Per questo ritengo che la sete del sapere, la curiosità che anima ogni ricercatore degno di questo nome possa essere vivificata da una esperienza come questa.

Giulio Tarro
Componente comitato tecnico-scientifico dell’Associazione “Guido Dorso”
Primario emerito dell’Azienda Ospedaliera “D.Cotugno” di Napoli
Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Pirosfera – Unesco – Parigi
Adjunct Professor College of Science and Technology,Temple University, Philadelfia
Presidente della Fondazione per le ricerche sul cancro
“Teresa e Luigi De Beaumont Bonelli”